sabato 30 marzo 2013

La fertile terra di Ur...

Rovine di Ur, nell'Iraq meridionale
Archeologi britannici hanno scoperto un edificio precedentemente sconosciuto vicino la città di Ur, nel primo scavo straniero a sud dell'Iraq dal 1930.
Il palazzo è stato individuato grazie alle foto satellitari. I primi scavi hanno individuato file di stanze disposte attorno ad un ampio cortile che si ritiene risalire a 4000 anni fa. Le dimensioni sono davvero enormi, come ha affermato la dottoressa Jane Luna, archeologa dell'Università di Manchester e direttrice della spedizione. Le pareti della struttura hanno quasi 9 metri di spessore e questo indica che questo edificio doveva essere di grande importanza.
La scoperta acquista maggior rilevanza dal fatto di essere stata effettuata a poca distanza dalla città di Ur, su quelle che, un tempo, erano le rive dell'Eufrate. Ur era l'ultima capitale dell'impero sumerico. Fu invasa e distrutta intorno al 2000 a.C.. La città era dedicata al dio della luna ed era nota per la sua grande ziggurat. Molti ritengono che Abramo, il patriarca biblico, fosse nativo proprio di Ur.
Gli ultimi scavi prima dell'attuale furono eseguiti dal britannico Sir Charles Leonard Woolley, tra il 1920 e il 1930. Dopo la rivoluzione del 1950, che rovesciò la monarchia che governava l'Iraq, la costruzione sul luogo di una base aerea militare impedì ogni ricerca archeologica per circa mezzo secolo.
Ad Ur Woolley scoprì un vero e proprio tesoro in grado di rivaleggiare con quello di Tutankhamon. Almeno 16 membri della famiglia reale sumera furono sepolti ad Ur accompagnati da elaborati gioielli in oro. Tra di essi una donna, forse una regina, che recava sul capo una sorta di corona-cappello di foglie d'oro tempestate di lapislazzuli. All'interno di questa regale sepoltura sono stati trovati anche strumenti musicali in oro.

Tomba romana scoperta a Bodrum

La sepoltura scoperta a Bodrum
Una tomba contenente due sepolture è stata ritrovata in Turchia, nella provincia di Mugla, nella città egea di Bodrum. La tomba risale all'epoca romana ed è stata rinvenuta durante alcuni lavori alle spalle del porto di Bodrum.
Un'indagine condotta dalla direzione del Museo di Bodrum ha accertato che la tomba è stata depredata già in epoca romana. E' stato avviato, nel frattempo, uno scavo di salvataggio da parte dei funzionari del museo. Nella sepoltura è stato ritrovato il frammento di una foglia d'oro.
Il monumento, una volta restaurato, sarà aperto al pubblico.

La prospera Strofilas

L'insediamento neolitico di Strofilas
Gli scavi sul pianoro di Strofilas, sulla costa occidentale di Andros, isola delle Cicladi, hanno riportato alla luce un vasto insediamento configurabile nel periodo del Neolitico finale, nella cultura di Attica-Kephala. Lo sviluppo dell'insediamento è in gran parte dovuto alla posizione strategica dell'isola di Andros, vicino all'Attica. Questa zona costituiva un importante scalo portuale nel Neolitico, qui venivano trasportate merci quali l'ossidiana, il metallo e l'oro, che erano commerciate, in seguito, sulla terraferma.
Le prove disponibili a tutt'oggi dimostrano che Strofilas era un insediamento unico nelle Cicladi e nella regione circostante. Il villaggio possedeva grandi edifici ed era densamente abitato. Vi erano mura che lo cingevano ed anche un santuario. L'arte rupestre ha restituito reperti con motivi simbolici quali, ad esempio, le spirali, i meandri, navi, capre, cervi, sciacalli, pesci, delfini ma anche raffigurazioni della vita di ogni giorno.
Strofilas rivela sempre nuove informazioni sulla cultura nel Mar Egeo e, in particolare, nelle Cicladi, aumentando la conoscenza che si possiede in merito alla vita di quest'arcipelago nel Neolitico. Una cultura avanzata abitava, all'epoca, l'arcipelago, dedicandosi ai commerci marittimi e dando vita alle prime strutture urbane.

Pulizia etnica ai tempi dei Neanderthal?

Homo Neanderthalensis
Forse sono stati trovati, nel nord Italia, i resti scheletrici di un ibrido tra l'Homo Sapiens e l'uomo di Neanderthal, vissuto tra i 30.000 e i 40.000 anni fa. Se le analisi in corso dimostreranno che si tratta realmente di un incrocio tra le due razze umane, si tratterebbe della prova certa che le due specie si sono realmente incrociate.
Lo studio si incentra sulla mascella di un individuo, ritrovata in una caverna dei Monti Lessini, chiamata Riparo Mezzena. All'epoca a cui apparterrebbero i resti, sia i neanderthaliani che gli umani moderni abitavano la regione. La morfologia della mandibola ha incuriosito gli studiosi, dal momento che presenta caratteristiche simili ad ambedue le specie. I neanderthaliani avevano la mascella inferiore piuttosto sfuggente, quasi priva del mento, al contrario degli umani moderni.
Homo Sapiens
Ad effettuare le analisi è l'antropologa Silvana Condemi, direttore della ricerca del CNRS dell'Università di Marsiglia. Con i suoi colleghi la dottoressa Condemi ha analizzato il Dna e le ricostruzioni in 3D del reperto e dell'individuo al quale apparteneva e poi hanno confrontato i risultati con le caratteristiche dell'Homo Sapiens. L'analisi genetica ha dimostrato che il Dna mitocondriale dell'individuo al quale apparteneva la mascella è neanderthaliano (il Dna mitocondriale è trasmesso dalla madre al figlio). I ricercatori hanno, pertanto, concluso che una femmina di Neanderthal si sia unita ad un Homo Sapiens maschio.
"La mandibola ritrovata supporta la teoria di un lento processo di sostituzione dei Neanderthal da parte delle popolazioni umani moderne, mentre altre prove supportano la difesa dell'identità culturale da parte dei Neanderthal", ha commentato la dottoressa Condemi.
Reperti fossili indicano che esseri umani moderni vivevano in grotte nel sud dell'Italia già 45.000 anni fa. Gli umani moderni ed i neanderthaliani hanno, quindi, convissuto nelle stesse regioni per migliaia di anni. I nuovi umani, però, non sono stati molto ben accolti. I neanderthaliani finirono per estinguersi tra i 35.000 e i 30.000 anni fa.

venerdì 29 marzo 2013

Oggetti e simboli della fertilità in Israele

La statuetta fallica ritrovata in Israele
Nel nord di Israele recentemente sono tornate alla luce testimonianze dell'età della pietra. In un pozzo sono stati ritrovati semi di fagiolo bruciati e recentemente è stata ritrovata una scultura in pietra raffigurante un pene, antica di più di 6000 anni.
Gli scavi dai quali sono emersi questi reperti si trovano nei pressi di una linea ferroviaria che si sta costruendo da Ahihud verso la città di Karmiel. Qui sono emersi i resti di antichi insediamenti appartenenti a due epoche: il Neolitico e il Calcolitico, tra il VII e il V millennio a.C.
Qui gli archeologi hanno raccolto molte punte di freccia in selce e in ossidiana, asce in pietra, lame ed altri strumenti sempre in selce e in pietra. L'ossidiana, in particolare, è indicativa della presenza di relazioni commerciali con la Turchia e la Georgia, poiché è un materiale che non si trova in Israele.
L'oggetto in pietra raffigurante un fallo, ritrovata nello stesso insediamento, si accompagna ad una tavola in cui sono abbozzati simboli di genitali femminili legati tutti, forse, ad un culto della fertilità della terra.

giovedì 28 marzo 2013

Le nove cripte di Coventry

Arcate di una cripta di Coventry
I restauratori hanno scoperto ben nove cripte nascoste sotto le rovine della cattedrale bombardata di Coventry. I lavori di ricerca sono stati iniziati dopo che era apparsa una crepa in una parte delle pareti in rovina della cattedrale del XIV secolo.
Era già nota l'esistenza di due cripte, una delle quali era stata aperta al pubblico nel 1970. Si ritiene che le cripte siano state inizialmente utilizzate come luoghi privilegiati di sepoltura per la nobiltà locale. Alcune contengono ossa umane. Le cripte coprono l'intera area della vecchia cattedrale e sono state datate all'incirca al 1350.

Alfredo il Grande, un re senza pace

Alfredo il Grande
Una tomba senza nome è stata esaminata in Inghilterra. Si pensa che vi giacciano i resti di Alfredo il Grande. La sepoltura si trova nella chiesa di S. Bartolomeo a Winchester. Si pensa che i resti del re sassone siano state trasferite qui dalla vicina Abbazia di Hyde.
Re Alfredo il Grande fu sepolto nella vecchia cattedrale di Winchester nell'899 d.C.. Nel 904 i suoi resti furono trasferiti in una nuova chiesa per poter giacere accanto alla moglie ed ai figli. Le spoglie del re furono nuovamente spostate nell'Abbazia di Hyde nel 1110. Quest'edificio venne distrutto nel 1539 e la tomba del re fu depredata. Alcune ossa sono state mostrate nel XIX secolo prima di venire nuovamente tumulate nella chiesa di San Bartolomeo.
Alfredo il Grande era sovrano del Wessex e fu dichiarato re degli inglesi tutti verso la fine del suo regno, dopo aver sconfitto i danesi in diverse battaglie.

lunedì 25 marzo 2013

L'antico porto di Thonis-Heracleion

Una phiale d'oro recuperata da Thonis-Heracleion
(Foto: Christoph Gerigk - F. Goddio/Hilti Foundation)
I risultati di una recente ricerca archeologica nell'antica città portuale sommersa di Thonis-Heracleion, considerata la porta di ingresso all'Egitto del I millennio a.C., sono stati proposti in una conferenza internazionale all'Università di Oxford.
Il porto della città è situato a 6,5 chilometri dall'odierna costa ed era considerato uno dei più grandi porti commerciali del Mediterraneo ancor prima della fondazione di Alessandria. Il Centro per l'Archeologia Sottomarina di Oxford sta collaborando con l'Istituto Europeo per l'Archeologia Subacquea e con il Ministero di Stato egiziano per le Antichità.
L'antichissima città era nota agli egiziani come Thonis, mentre i greci la chiamavano Heracleion. Qui le navi attraccavano di frequente per scaricare le loro merci che dovevano essere valutate dai funzionari dei templi, i quali avevano il compito di far anche pagare una tassa prima di imbarcarle su battelli egiziani.
Resti dell'antico porto sommerso di Thonis-Heracleion
(Foto: Christoph Gerigk - F. Goddio/Hilti Foundation)
Nel porto, ora sommerso, gli archeologi stanno esaminando 64 navi egiziane datate ad un periodo compreso tra l'VIII e il II secolo a.C., molte delle quali sembrano essere state deliberatamente affondate. I resti delle imbarcazioni sono eccezionalmente ben conservati. Sono stati anche ritrovati ben 700 esemplari di antiche ancore.
"L'indagine ha rivelato un enorme paesaggio sommerso, con i resti di almeno due importanti insediamenti antichi, all'interno di una parte del delta del Nilo, attraversato da corsi d'acqua sia naturali che artificiali", ha affermato Damian Robinson, direttore del Centro di Archeologia Marittima dell'Università di Oxford. Il dottor Robinson sovrintende allo scavo di una delle navi sommerse, ribattezzata Nave 43, ed ha scoperto che gli egiziani avevano elaborato uno stile originale per fabbricare le loro imbarcazioni. Il dottor Robinson sta anche cercando il motivo per il quale alcune navi sono state deliberatamente affondate.
Il relitto Nave 43
"Una delle questioni chiave è il motivo per il quale i cimiteri delle navi siano stati creati a circa un miglio dalla foce del Nilo. Il reperto Nave 43 sembra essere parte di un grande assembramento di almeno una decina di altre imbarcazioni facenti parte di un vasto cimitero marittimo", ha spiegato il dottor Robinson. "Non si tratterebbe di un semplice abbandono, ma di uno stratagemma per bloccare le navi nemiche all'ingresso della città portuale. Dobbiamo, però, anche considerare l'ipotesi che queste imbarcazioni siano state affondate per semplici scopi di bonifica", ha aggiunto.
Il porto ed i suoi bacini portuali hanno restituito anche pesi commerciali e prove della diffusione e della circolazione della moneta, come i pesi che servivano per attribuire valore alle monete. Thonis-Heracleion ha svolto un ruolo davvero importante nella rete del commercio a lunga distanza nel Mediterraneo orientale. Era la prima tappa per i commercianti stranieri che arrivavano in Egitto.
Tra i pesi in piombo recuperati dal mare ve ne sono alcuni piuttosto interessanti che sembrano di provenienza ateniese. E' la prima volta che pesi come questi vengono individuati in uno scavo in terra d'Egitto. I ricercatori hanno anche analizzato più di 300 tra statuette ed amuleti dell'epoca tolemaica. La maggior parte di queste statuette raffigura divinità egizie quali Osiride, Iside ed Horus e sono in condizioni davvero eccellenti. 

domenica 24 marzo 2013

L'imbalsamazione, questa sconosciuta....

Ricostruzione in 3D che mostra la cavità vuota del corpo
di una mummia, custodita nel Royal Ontario Museum
Una nuova ricerca sembra aver accertato che il processo di mummificazione, presso gli antichi Egizi, non era preceduto da un'asportazione degli organi interni mediante clisteri di olio di cedro, come si era pensato finora.
I ricercatori hanno analizzato 150 mummie ed hanno scoperto che gli antichi imbalsamatori non hanno sempre lasciato al suo posto il cuore del defunto, come era d'uso nell'antichità. Uno degli autori dello studio, Andrew Wade, antropologo presso la University of Western Ontario, ha affermato che questo studio contraddice quanto affermato da Erodoto, il primo a descrivere il processo di imbalsamazione così come l'abbiamo conosciuto finora.
Erodoto descrisse diversi tipi di imbalsamazione: alle mummie di un elevato ceto sociale veniva praticato un taglio sulla pancia, attraverso il quale venivano rimossi gli organi interni; alle mummie di un ceto inferiore, invece, veniva praticato un clistere di olio di cedro - simile alla trementina - che aveva il compito di liquefare gli organi interni. Erodoto, poi, sosteneva che il cervello veniva rimosso durante l'imbalsamazione, mentre il cuore veniva rimesso al suo posto.
Wade e il suo collega Andrew Nelson hanno analizzato le mummie servendosi di ricostruzioni in 3D e di Tac per vedere come era condotto, in realtà, il processo di imbalsamazione. In questo modo hanno accertato che sia per i ricchi che per i poveri era praticata una fessura transaddominale, anche se, per l'eviscerazione delle classi più elevate veniva, a volte, utilizzata una fessura praticata nell'ano. I ricercatori hanno anche scoperto che non vi è traccia della pratica dei clisteri di cedro e solo un quarto delle mummie conservavano ancora i cuori al loro posto, mentre in un quinto delle mummie i cervelli erano stati lasciati in situ.

Campi di pelota nel Messico

Veduta di El Tajin, località della scoperta
Gli archeologi messicani affermano di aver scoperto tre antichi campi da gioco in un sito pre-ispanico nello stato di Veracruz. Questi campi da gioco sono stati scoperti tramite la tecnologia dello scanner laser (LiDAR). Forse, in questi campi, si giocava la pelota, in cui i giocatori dovevano toccare la palla solo con i fianchi, cercando di spingerla entro alti cerchi di pietra.
L'archeologa Guadalupe Zetina ha affermato che gli archeologi procederanno, a breve, a scavare la zona per approfondire la scoperta.
Con i campi da gioco, sono state individuate delle piattaforme di circa 12 metri di altezza, che avrebbero fornito una vista panoramica sulla zona circostante.
La squadra dell'archeologa Zetina ha trovato, anche, tracce di abitazione nella parte occidentale del sito archeologico. Si spera che questi ritrovamenti riescano a fornire indizi utili a capire qual era lo stile di vita della popolazione locale.
Il sito conobbe il suo massimo splendore tra il IX e l'inizio del XIII secolo.

sabato 23 marzo 2013

Il Monte dei Cocci di Roma

Il Monte Testaccio
Il Monte Testaccio, comunemente noto come Monte dei Cocci, perché costituito dai frammenti di anfore romane, è una collina artificiale di Roma, utilissima agli studiosi per documentare il commercio in Roma antica.
Questa raccolta di testimonianze commerciali non è lontana dalla via d'acqua che attraversa la città, il Tevere, al quale è stato legato, anche, il destino della pianura compresa tra il fiume e l'Aventino. Questa zona, in età repubblicana, venne destinata a nuovo porto fluviale in quanto, alla fine del III secolo a.C., il primitivo porto nei pressi del foro Boario si era rivelato insufficiente per affrontare l'incremento demografico della città
Il nuovo porto venne creato nella zona extraurbana a sud dell'Aventino, che poteva fornire un collegamento diretto con Ostia attraverso la via Ostiensis. Nel 193 a.C. M. Emilio Lepido e M. Emilio Paolo realizzarono il vicino Emporium, una piazza in cui poteva trovare spazio il mercato delle merci. Nel 174 a.C. vi fu un ulteriore intervento ad opera di Q.Fulvio Flacco e A. Postumio Albino: l'Emporium divenne una banchina di 500 metri di lunghezza, raccordata al fiume per mezzo di gradinate e rampe a piano inclinato che permettevano di trascinare le merci dalle navi fino ai depositi. Nello stesso periodo venne ampliata la Porticus Aemilia, il più vasto edificio commerciale costruito dai Romani
La Porticus Aemilia era un capannone lungo 487 metri e largo 60, con, all'interno, ben 294 pilastri che la suddividevano in sette navate digradanti verso il fiume e 50 navate trasversali. Lo scalo fluviale serviva a scaricare merci di natura alimentare ma anche di altra natura, come zanne di elefante (che sono state ritrovate in grande quantità in un deposito lungo il lato orientale dell'Emporio nel 1885). Qui venivano anche scaricati i marmi che indussero a battezzare questa parte del fiume Ripa Marmorata nei Cataloghi Regionari. Nel 1868 furono rinvenuti proprio qui 1200 blocchi di marmo per lo più grezzi.
Gli horrea si concentrarono nella pianura retrostante il nuovo impianto portuale. A sud dell'Emporio vi erano gli Horrea Lolliana e gli Horrea Galbana, i più importanti della città.
Il Monte Testaccio ha un aspetto quasi triangolare. Il suo attuale perimetro è di circa 700 metri e il monte raggiunge un'altezza di 49 metri sul livello del mare. Esso è costituito da un accumulo, protratto nel tempo, di anfore contenenti olio che, dopo lo svuotamento, venivano sistematicamente spezzate in frammenti. Le anfore olearie non erano riutilizzabili, al contrario di quelle utilizzate per il trasporto di vino, garum, miele e olive, a causa della facile alterazione dei residui di olio.
Le anfore di Testaccio provengono, in gran parte, dalla Betica (Andalusia) e dalla Bizacena (Africa settentrionale). Sono essenzialmente di due tipi: a corpo sferico, capace di contenere fino a 70 chilogrammi di olio per quanto riguarda le anfore iberiche; a corpo cilindrico e pareti più sottili per quel che riguarda le anfore africane.
In epoca augustea i frammenti vennero accumulati ponendovi della calce, destinata a eliminare gli inconvenienti della decomposizione dell'olio. In questo modo i cocci delle anfore si sono conservati ben coesi gli uni agli altri. Sulla formazione del monte vigilavano i curatores, funzionari pubblici che regolamentavano gli scarichi, garantendone la manutenzione e la massima efficienza. Gli accumuli proseguirono per ben 270 anni, da Augusto a Gallieno. I cocci recano, inoltre, preziose iscrizione con il marchio di fabbrica o le note scritte a pennello o a penna. Queste iscrizioni contengono informazioni circa il peso dell'anfora vuota, i tria nomina dei mercatores e il peso del contenuto, oltre al controllo fiscale con il luogo di spedizione, il nome dell'olio e del produttore, la datazione consolare e il nome di chi scrive il controllo.
Calcolando il numero delle anfore, i ricercatori sono giunti a stimare in un consumo, pro capite, annuo, di 22,5 chilogrammi di olio, utilizzato non solo a fini alimentari ma anche nel campo dell'industria, della medicina e dell'illuminazione.
Il Monte venne citato, per la prima volta a proposito della donazione di una vigna "in Testacio" in un'epigrafe dell'VIII secolo d.C., ancora presente nel portico di S. Maria in Cosmedin. Il Monte ebbe il suo momento di gloria durante il Medioevo, quando venne destinato a manifestazioni popolari sia religiose che ricreative.

venerdì 22 marzo 2013

Iuvanum, città di transito

Il foro dell'antica Iuvanum
Iuvanum è il nome latino di una piccola città montana che si trovava in località Santa Maria di Palazzo, nell'Abruzzo meridionale. Il nome è stato ritrovato su tegole e iscrizioni e la cittadina sembra essere stata legata a percorsi di transumanza già da epoche remote.
Nel Liber Coloniarum venne chiamata Jobanos. Plinio afferma che Juvanenses è una derivazione di Lanuenses.
Nel tempo Iuvanum è diventata una stazione di sosta e un mercato, a ridosso del quale nacque persino un santuario, nel III secolo a.C., con un recinto in opera poligonale e due templi di tipo italico. Alla fine del II secolo a.C., poi, fu costruito anche il teatro, con la cavea addossata al pendio meridionale della collina, della quale si conservano le prime sette file di gradini.
Degli dèi adorati a Iuvanum non si conoscono i nomi. Probabilmente,trattandosi di una cittadina legata ai pascoli, alla transumanza, ai commerci, qui trovava posto il culto di Ercole, di cui sono stati ritrovati alcuni bronzetti.
La basilica di Iuvanum
In epoca romana la cittadina divenne municipium, iscritta nella tribù Arnensis e vi furono costruiti diversi edifici pubblici. Il municipium venne amministrato da quattuomviri.
La città si estende, al di sotto dell'acropoli, su un'area di oltre 6.000 metri quadrati, orientata in direzione nord-sud. Tra gli edifici pubblici spicca la basilica, costruita alla fine del I secolo a.C. con rifacimenti in epoche successive, qui si trovava il tribunal, nel quale si amministrava la giustizia, e l'augusteum absidato. Il foro era sede di fiere e mercati ed era lambito dalle vie principali della città, tra le quali la via Orientale e la strada lastricata che dal teatro portava all'acropoli. La piazza era circondata da portici colonnati e pavimentata con lastre di pietra calcarea. Ad adornarla vi erano statue, iscrizioni e piccoli monumenti onorari. La città possedeva anche delle terme, poste fuori dall'area che gravitava attorno al foro.
Iuvanum, il teatro
La via Orientale era l'asse principale di viabilità di Iuvanum. Gli archeologi ne hanno riportato alla luce un tratto di circa 90 metri. Probabilmente, in zona extraurbana, la via era fiancheggiata da cippi funerari ed aree deputate alla sepoltura. Su un tratto di viabilità più antica fu realizzata la via del Foro, che collegava il teatro al santuario sull'acropoli.
Gli scavi a Iuvianum sono iniziati nel 1980 ed hanno permesso di ritrovare un'officina vetraria, un thermopolium ed un'altra officina con un'abitazione accanto. Dagli scavi successivi (1998, 1999 e 2000), sono emersi un'officina con dei forni per la fusione del metallo, un edificio pubblico con una grande fontana a doppia vasca, la cui vasca inferiore recava, ai quattro angoli, quattro colonne. Non sono state ritrovate condutture, nella casa.
Abitazioni dell'antica Iuvanum
Sotto il livello della pavimentazione delle tabernae ritrovate nelle vicinanze del foro, sono emerse delle strutture murarie pertinenti ad edifici deliberatamente rasati e predisposti per costruirvi sopra la città. Gli ambienti erano molto grandi e costruiti con accuratezza, probabilmente intorno alla metà o alla fine del I secolo a.C., Non solo: quanto è stato ritrovato denota il tenore di vita medio-alto di coloro che vi abitavano: ceramica a vernice nera, terra sigillata aretina, vetri, lucerne, balsamari, oggetti in bronzo. I ricercatori ritengono che gli ambienti furono distrutti per consentire un allargamento del piccolo centro montano, che si era, nel frattempo, arricchito con i proventi del commercio di prodotti caseari e agricoli. Iuvanum fiorì, infatti, proprio in età augustea e la sua vita durò per tutto il tempo che rimase in piedi l'impero romano. In seguito tornò ad essere un punto di incontro per scambi e, poi, un ricovero per viandanti, di cui rimangono i resti dei fuochi accesi con mezzi di fortuna e una tomba infantile con un corredo datato al VI-VII secolo d.C.
L'area archeologica vista dall'alto
Nella città sono tornati alla luce monete d'argento e di bronzo ma anche utensili in bronzo e ferro quali specilli, spatoline, bilancini, maniglie, cucchiai, mestoli, coltelli. Oltre a questi la città ha restituito vasellame fittile e metallico da cucina e da tavola.
Iuvanum, le sue rovine, erano note sin dal XIX secolo, poiché eruditi locali e viaggiatori le descrivevano piuttosto dettagliatamente. I reperti ritrovati all'epoca andarono a finire nei magazzini delle allora competenti Soprintendenze alle Antichità di Napoli prima e delle Marche. Tra i reperti vi era anche una testa marmorea.
Nel 1940 e negli anni seguenti Giovanni Annibaldi e Valerio Cianfarani effettuarono i primi scavi e fu riportato alla luce il teatro, uno dei due templi sulla collina e il foro. Nei primi anni '60 il teatro e le tabernae del foro furono restaurati.

Una tunica tra i ghiacci

Una tunica di lana di epoca pre-vichinga è stata ritrovata nei pressi di un ghiacciaio in fase di scongelamento nel sud della Norvegia.
Il capo di vestiario, di color verde bruno, era adatto ad una persona di 1,76 metri di altezza ed è stato ritrovato a 2000 metri sul livello del mare, in quella che si presume sia stata una tappa di una rotta commerciale romana nel sud della Norvegia. La datazione al carbonio ha stabilito che il reperto è stato confezionato intorno al 300 d.C.
Sono più di 1.600 i reperti finora ritrovati tra i ghiacci norvegesi. Sono emersi, tra gli altri, un guanto di epoca vichinga datato all'800 d.C., un bastone da passeggio, una scarpa in pelle dell'Età del Bronzo, archi antichi e punte di freccia utilizzate per la caccia alle renne.
La tunica ritrovata in questi giorni appare essere stata ben confezionata, in lana di pecora con un motivo a diamante che il trascorrere del tempo ha un pò rovinato. Sono poche le tuniche simili ritrovate in Europa.

giovedì 21 marzo 2013

Scavi a Vergina/Aigai

Uno dei reperti ritrovati a Vergina/Aigai
Durante la campagna di scavi estiva del 2012 sono emersi a Vergina/Aigai interessanti reperti dell'ultimo periodo ellenistico e del primo periodo imperiale.
L'area scavata si trova a nordovest e nelle immediate vicinanze del Metroon di Vergina/Aigai, approssimativamente al centro della città macedone. La maggior parte dei reperti sono stati datati al periodo compreso tra la fine del II secolo a.C. e il I secolo d.C.
In scavi precedenti sono emersi reperti che hanno suggerito ai ricercatori che l'antica città di Vergina/Aigai sia sopravvissuta, almeno in parte, allo smantellamento del regno macedone e al dominio romano. I reperti segnano un ben preciso cambiamento sia economico che sociale.
Gli scavi del 2012 hanno restituito ceramiche di una certa consistenza: piatti, lampade e bicchieri. Il metallo emerso appartiene ad oggetti oramai consumati dal tempo, come le borchie. Sono stati anche ritrovati frammenti di figurine in argilla, varie forme di Eros, forgiato soprattutto in forma di lampada.

Un centro commerciale a Pella

Il sito archeologico di Pella
Sono in corso scavi presso il centro commerciale ed amministrativo della città di Pella, capitale del regno di Macedonia sotto Filippo II e Alessandro Magno. In uno spazio aperto di 70.000 metri quadrati, nel cuore dell'antica città, attorno ad una piazza centrale, sta emergendo un complesso di portici con spazi che ospitavano, un tempo, gli archivi della città.
Lo scavo è seguito e curato dal professor Ioannis Akamatis, docente di Archeologia Classica nel Dipartimento di Storia e Archeologia dell'Università Aristotele di Salonicco. Sono state, finora, ritrovate giare per la conservazione di derrate alimentari, monete ed alcuni oggetti di metallo. La stratigrafia e le tracce di distruzione comprovano che la città di Pella subì un evento traumatico intorno al I secolo a.C.
Le monete ritrovate sono in prevalenza coniate nel bronzo e giacevano sotto i pavimenti precedenti. Gli archeologi hanno anche scoperto tracce di un edificio rettangolare fatto in blocchi di pietra di grandi dimensioni, di cui sono sopravvissute, alla distruzione, alcune piastrelle. L'edificio era indipendente ed era suddiviso in due sale di diversa ampiezza. Resti di blocchi di colonne doriche e parti di colonne e capitelli sono state ritrovate sul lato nord, forse a dimostrazione che vi era qui un ingresso caratterizzato da due colonne.

L'anello di Escrick

L'anello di Escrick
Un anello di zaffiro è stato ritrovato ad Escrick, a sud di York, in Inghilterra, da un appassionato cercatore di tesori "armato" di metal detector.
Si tratta, probabilmente, di un gioiello più antico di quanto si possa pensare e gli studiosi credono che sia appartenuto ad un membro della famiglia reale.
L'anello di Escrick probabilmente è stato forgiato tra il V e il VI secolo d.C. e costituisce un unicum nel Regno Unito.
Il reperto è stato forgiato in oro, vetro pregiato e presenta un grande zaffiro. Forse è stato creato in Francia per un re o per la sposa di un re. L'usura presente sull'anello fa pensare che potrebbe trattarsi anche di una spilla trasformata, successivamente, in anello.

L'ippodromo di Delfi

L'Auriga di Delfi
Il più antico ippodromo greco, il secondo per importanza dopo quello di Olimpia. Si tratta dell'ippodromo di Delfi, datato al 590-580 a.C., dove non si esimevano di gareggiare anche leader politici dell'epoca, come Kleisthenis, tiranno di Sicione, e Ierone, tiranno di Siracusa. Persino l'auriga raffigurato nella statua di bronzo custodita nel museo di Delfi ha, probabilmente, partecipato e vinto nella corsa delle bighe durante i Giochi Pitici del 474 a.C.
L'ippodromo di Delfi era stato cercato dagli archeologi per due secoli e si è rivelato agli studiosi solo un anno fa. Autore della scoperta il professore di Archeologia Classica Valavanis Panos, che ha tenuto una conferenza sull'argomento all'Università di Atene.
Il sito dove sorgeva l'ippodromo di Delfi era noto come Gonia e soddisfa ogni condizione necessaria per essere un ippodromo accreditato per le gare. Il sito apparteneva alla terra sacra di Delfi. La collina Aghioi Anargyroi, a nord del cimitero di Itea, e la collina Gla sono siti che recano tracce di insediamenti preistorici e micenei.

mercoledì 20 marzo 2013

Palazzo sasanide in Iran

Resti del palazzo sasanide del Lorestan
Durante la seconda stagione di scavi nell'Iran occidentale, gli archeologi iraniani hanno scoperto i resti di una costruzione palaziale sasanide.
L'antico edificio si trova nella zona chiamata fortezza Guri (Dez-e Guri) vicino Zir Tang-e Siyab, nel distretto di Konani, a 70 chilometri a sudovest della città di Kuhdasht, nella provincia occidentale iraniana del Lorestan. A dirigere gli scavi è il dottor Atta Hassanpur.
La struttura appena scoperta si pensa risalga al 600 d.C. e presenta cinque padiglioni collegati tra loro, due sale colonnate ed un cortile. Gli archeologi hanno scoperto diversi pezzi di terracotta smaltata e non, decorati con disegni a bassorilievo, stucco intagliato a formare motivi geometrici ma anche con figure umane ed animali mitologici. Tra questi animali compare anche un cinghiale, rappresentazione dell'Arcangelo zoroastriano Verethragna.
Cortile di casa sasanide
Gli antichi costruttori hanno combinato tra loro tecniche di stampaggio ed intagli a mano per creare questi stucchi che paiono essere in buone condizioni. Sono stati anche riportati alla luce due ostraca di terracotta periodo medio persiano (Pahlavi-Sasanide), uno dei quali riportava 13 paragrafi ed altri contenuti. E' la prima volta che, in questa parte del paese, riemergono degli ostraca. Attualmente questi sono in fase di studio e di traduzione.
L'edificio recentemente scoperto è stato, forse, utilizzato come residenza estiva ed apparteneva, con tutta probabilità, ad una delle famiglie nobili che vivevano in una vicina città, ora sepolta dall'acqua a causa della costruzione della diga di Dam la Seimareh. Gli archeologi iraniani pensano che questa perduta città abbia un'importanza pari a quella di Persepoli, per il patrimonio storico ed artistico dell'Iran.

martedì 19 marzo 2013

Nuove scoperte a Creta

Rovine della città di Festo
Uno studio dell'archeologa itailana Simona Todaro, dell'Università di Catania, ha permesso di rilevare nuovi elementi sulla vita sociale e organizzativa delle comunità minoiche di Messarà, sull'isola di Creta. L'archeologa ha condotto scavi nelle città di Festo e Aghia Triada.
I risultati dello scavo e delle ricerche sono stati illustrati dalla stessa archeologa in una conferenza intitolata "Festo e Aghia Triada: la dimensione domestica, rituale e funeraria". Aghia Triada e Festo sorgevano nella parte occidentale della pianura di Messarà, il tavoliere più grande e fertile dell'isola di Creta e sono state considerate sempre insediamenti complementari tra di loro.
Festo era abitata sin dal Neolitico ed ebbe il suo massimo sviluppo durante la prima metà del II millennio a.C., quando fiorirono intensi commerci con l'Egitto e le città dell'Asia Minore. A Festo, nel 1908, una spedizione archeologica italiana guidata da Luigi Pernier e Federico Halbherr, riportò alla luce il famoso disco di Festo, in terracotta, datato intorno al 1700 a.C. e conservato nel museo di Iraklion, capuologo dell'isola di Creta. A tutt'oggi il disco rimane uno dei misteri più intriganti dell'archeologia.
Aghia Triada si trova a 63 chilometri a sudovest di Iraklion e dista circa 3 chilometri da Festo. Fu edificata intorno al 1600 a.C. e fu distrutta, come avvenne anche per altri insediamenti minoici, verso il 1450 a.C., quasi sicuramente a causa di una devastante eruzione del vulcano di Thera, che sconvolse l'intera regione. I primi scavi sono stati condotti nel 1902 da archeologi italiani, portarono alla luce due palazzi minoici costruiti e immediatamente abbandonati, una necropoli con due tombe a cupola e altre costruzioni che, in seguito, sarebbero state destinate a custodire resti umani, nonché una villa reale distrutta nel Tardo Periodo Minoico.

Sarcofagi punici e strade romane in Sardegna

Frammenti di un sarcofago del periodo fenicio-punico e frammenti relativi al coperchio in parte rivestiti con intonaco e decori sono emersi sul litorale di Cabras, nei pressi di San Giovanni di Sinis, in Sardegna.
A causare il ritrovamento sono state le forti piogge e le mareggiate dei giorni scorsi. Inoltre è risultata in parte visibile la parte superiore di un altare funerario lavorato, simile ad un altare conservato nel museo comunale di Nurachi. Grazie alle pioggie, poi, è riemerso un tratto della vecchia strada romana litoranea che, da Turris Libisonis (la vecchia Porto Torres) toccava i centri di Bosa, Cornus (S. Caterina di Pittinuri) e Tharros.
A breve saranno effettuati i rilievi fotografici e cartografici. Nell'attesa i reperti sono stati ricoeprti con la sabbia.

domenica 17 marzo 2013

Meridiane...d'Egitto

La meridiana scoperta recentemente in Egitto
Durante alcuni scavi nella Valle dei Re, una squadra di archeologi dell'Università di Basilea, coordinati dalla professoressa Susanne Bickel, ha riportato alla luce uno delle più antiche rappresentazioni di meridiana ritrovata in Egitto.
Dalla sabbia è emerso una sorta di ostrakon, su cui era stato tracciato un semicerchio con pittura nera. Il semicerchio risulta diviso in dodici sezioni di circa 15 gradi ciascuna. A circa 16 centimetri dalla base dell'ostrakon, un perno recava inserito, un tempo, una sorta di bullone di legno o metallo che, proiettando la sua ombra, indicava le ore del giorno. Piccoli punti al centro di ciascuna sezione erano utilizzati per misurare il tempo con maggiore precisione.
La meridiana è emersa in una zona dove sono state ritrovate delle capanne in pietra utilizzate nel XIII secolo a.C. per alloggiare gli operai che lavoravano alla costruzione delle tombe reali. Probabilmente serviva per cadenzare le ore di lavoro ma aveva, forse, anche una valenza religiosa, dal momento che rappresentava la progressione notturna del dio solo nel mondo sotterraneo.
Quest'anno, durante la campagna di scavo, condotta in collaborazione con le autorità archeologiche egiziane, gli studenti dell'Università di Basilea hanno dissepolto più di 500 oggetti, in gran parte frammentari, che sono stati documentati e preparati per un più approfondito esame scientifico. Le scoperte includono anche il materiale estratto dal livello inferiore della tomba denominata KV64, ritrovata nel 2012. Al suo interno gli archeologi hanno scoperto un sarcofago contenente la mummia di una donna di nome Nehemes Bastet, vissuta circa 3500 anni fa.

Trovata una moneta cinese in Africa

La moneta cinese ritrovata a Manda, Africa
(John Winstein/The Field Museum)
Una moneta cinese di circa 600 anni fa è stata recentemente riportata alla luce su un'isola al largo delle coste del Kenya. Se sarà dimostrato che è autentica, la moneta potrebbe comprovare che l'esploratore cinese Zheng He, il Cristoforo Colombo d'Oriente, è approdato in questa parte dell'Africa Orientale.
"Questa scoperta è importante. Sappiamo che l'Africa è sempre stata collegata al resto del mondo, ma questa moneta apre una discussione sul rapporto tra la Cina e le nazioni dell'Oceano Indiano", ha dichiarato l'archeologo Chapurkha M. Kusimba, del Field Museum di Chicago.
La moneta è un disco di rame ed argento ed ha un foro quadrato al centro, forse per essere attaccata ad una cintura. E' stata ritrovata durante il primo giorno di scavi a Manda, un'isola posta a circa 320 chilometri a nordest di Mombasa. Una spedizione guidata dal dottor Kusimba e dal dottor Sloan R. Williams, dell'Università dell'Illinois, ha trascorso un periodo di studio sul sito a cavallo tra il 2012 e il 2013.
La moneta è stata emessa tra il 1403 e il 1425 e reca inciso il nome dell'imperatore Yongle, della dinastia Ming, che iniziò la costruzione della famosa Città Proibita. All'epoca l'isola di Manda era in pieno declino e di lì a poco, nel 1430, verrà abbandonata definitivamente dai suoi abitanti.
Il dottor Kusimba ritiene che la moneta potrebbe essere un segno che l'isola fu visitata da Zheng He, eunuco di corte salito al rango di comandante della marina cinese, inviato dall'imperatore Yongle in esplorazione delle terre che si affacciavano sull'Oceano Indiano al fine di espandere in quei luoghi il commercio cinese.
Manda è uno dei più antichi siti dell'Africa sub sahariana.

Il volto di S. Eutichio

Un momento della ricostruzione del volto di S. Eutichio
Un gruppo di ricerca interdisciplinare dell'Università di Creta, dell'Istituto Tecnologico di Creta e dell'Ospedale Universitario di Heraklion ha condotto una ricerca finalizzata a ricostruire le fattezze di S. Eutichio, basate sul cranio del santo. La ricostruzione è stata presentata l'11 marzo nella Sala Androgeo del comune di Heraklion durante la manifestazione intitolata "A sua immagine".
S. Eutichio era vescovo di Gortyna e arcivescovo di Creta. Probabilmente è vissuto durante la conquista araba di Creta (827-961 d.C.). Il suo cranio è conservato nel Monastero di Odigitria, uno dei più antichi monasteri di Creta.
In un primo momento i ricercatori hanno ricreato una copia digitale del volto di S. Eutichio, poi hanno costruito una copia tridimensionale in materiale sintetico presso l'Istituto Tecnologico di Creta. Gli specialisti del Dipartimento di Chirurgia Plastica e del Dipartimento Dentale hanno indagato ulteriori dettagli che permettessero loro di ricostruire il volto del santo il più fedelmente possibile. Infine sono intervenuti alcuni artisti, che hanno studiato le raffigurazioni del santo nella scultura e nella pittura bizantina.

Una valchiria danese

La statuina di valchiria ritrovata in Danimarca
Nel cortile di casa sua, il signor Morten Skovsby ha, nel corso del tempo, trovato alcune monete e una palla di cannone grazie al suo metal detector. Il 28 dicembre 2012, insieme a Michael Nielsen, Jan Hein e Jacob Sietam, tutti membri di un gruppo locale che fa ricerche archeologiche servendosi del metal detector, ha esplorato un campo ad Harby, nella zona centrale della Danimarca.
Durante questa ricerca, Skovsby ha individuato qualcosa di veramente interessante che, una volta pulito, si è rivelato essere una piccola figura femminile di appena 3,5 centimetri di altezza. Skovsby ha inviato immediatamente l'oggetto al curatore dei Musei Civici locali, il quale ha confermato che la scoperta era veramente notevole. Ulteriori analisi condotte dagli esperti del museo hanno confermato il valore del reperto. Si tratta della riproduzione di una fanciulla raffigurata in piedi, con sull'addome uno scudo vichingo rotto. Indossa un abito lungo ed ha i capelli acconciati a coda di cavallo. Un occhiello dietro al collo indica che la statuetta era posta su una collana e che, pertanto, si trattava, forse, di un ciondolo.
La statuetta è in argento massiccio e pesa circa 9 grammi. L'argento appare essere stato dorato e i dettagli del motivo della veste e dello scudo sono sottolineati da uno smalto nero. L'oggetto risale al periodo vichingo, intorno all'800 d.C. circa. Le vesti la identificano con una valchiria, un'emissaria di Odino che aveva il compito di raccogliere le anime dei morti in battaglia per portarle nel Valhalla.
Altre statuette raffiguranti valchirie sono state scoperte, nei secoli, in Danimarca, ma sono tutte bidimensionali e per lo più si tratta di spille. La figurina ritrovata recentemente, invece, è tridimensionale. Il dorso e i fianchi sono scolpiti e rivelano il taglio dei capelli dei Vichinghi e la moda dell'epoca. Le gambe della figurina sono andate, purtroppo, perdute.

Hierapolis, la porta dell'Inferno

Scavi italiani a Hierapolis, Turchia
(fonte: ANSAmed) - Il mistero della "Porta dell'Inferno" di Hierapolis, l'antica città sacra della Frigia, che gli archeologi cercavano da mezzo secolo, è stato svelato in fin dei conti grazie ai corpi senza vita di qualche uccellino.
E' seguendo il racconto di autori dell'antichità come Cicerone, o il grande geografo greco Strabone, e ricostruendo il percorso di una sorgente termale di origine vulcanica che l'archeologo italiano Francesco D'Andria, dell'Università del Salento, è arrivato fino al mitico Ploutonion (il Plutonium per i romani). Davanti c'erano i cadaveri di alcuni uccelli.
L'annuncio della "straordinaria" scoperta è stato fatto a Istanbul oggi da D'Andria al convegno sugli scavi archeologici italiani in Turchia promosso dall'ambasciatore ad Ankara Giampaolo Scarante e organizzato dalla direttrice dell'Istituto italiano di cultura Maria Luisa Scolari. Il Ploutonion di Hierapolis era un celebre luogo di pellegrinaggio dell'antichità. I sacerdoti sacrificavano tori a Plutone portandoli davanti all'ingresso di una grotta da cui uscivano gas velenosi. I tori morivano soffocati davanti ai pellegrini arrivati da tutto il mondo ellenistico, poi romano, tra cui anche tanti "vip" dell'antichità.
Hierapolis, nel comune turco di Pamukkale, è un sito di eccellenza per l'archeologia italiana. Gli scavi sono stati avviati nel 1957 da Paolo Verzone, del Politecnico di Torino, di cui D'Andria oggi è il successore. Gli italiani hanno fatto risorgere mano a mano la città sacra della Frigia - ora proclamata Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco e visitata da milioni di turisti tutto l'anno. Gli archeologi italiani hanno riportato alla luce il Teatro Romano, il Martyrion e la tomba dell'apostolo Filippo con una vasta necropoli.

giovedì 14 marzo 2013

Il cavaliere sconociuto di Edimburgo

La sepoltura del cavaliere medioevale rinvenuta in Scozia
I resti di un cavaliere medioevale sono stati scoperti sotto un parcheggio al centro di un cantiere. Il parcheggio si trova al centro della città scozzese di Edimburgo. La lastra di pietra che ricopriva la sepoltura aveva gli angoli riccamente decorati, simbolo di nobiltà. Al centro della lastra compare la croce ed una spada.
La scoperta è stata salutata come una delle più significative ed emozionanti della città. Arriva circa un mese dopo che è stato riportato alla luce, in un parcheggio a Leicester, lo scheletro del re inglese Riccardo III, ucciso in battaglia nel 1485.
L'analisi dello scheletro del cavaliere e dei denti sarà effettuato presto, in modo da determinare dove  l'uomo è nato, cosa ha mangiato e quale sia stata la sua vita. I resti del cavaliere sconosciuto hanno anche permesso di individuare l'esatta ubicazione del monastero dei Blackfriars, fondato nel 1230 da Alessandro II, re di Scozia dal 1214 al 1249.
Lo scavo ha svelato anche altre sepolture, comprese quelle di bambini, disposti in posizione est-ovest, tipica delle sepolture cristiane.

La vera vita a Tell el-Amarna

Lo scheletro di un uomo di circa 19 anni rinvenuto
nel cimitero di Tell el-Amarna
I bassorilievi e gli affreschi superstiti da Akhetaton/el-Amarna, descrivono un mondo ideale, abbondante, dove i buoi sono grassi ed i magazzini sono pieni di grano e di pesce. Ma alcune ricerche su come si è effettivamente svolta la vita a Tell el-Amarna ha stabilito che essa era piuttosto faticosa, almeno per la gente comune, che aveva dovuto costruire la città trasportando pietre ed acqua.
Gli archeologi e gli antropologi che stanno esaminando gli scheletri ritrovati nel cimitero della gente comune, hanno scoperto che molti bambini erano malnutriti ed avevano una costituzione gracile. Gli adulti, invece, mostrano segni di lavoro estremamente dure e lesioni collegabili ad incidenti. Eppure all'epoca di Akhenaton el-Amarna era la capitale dell'Egitto.
Delle 20.000-30.000 persone che vivevano in città nel periodo di suo massimo splendore, solo il dieci per cento apparteneva alla classe abbiente e viveva in ville spaziose, potendosi permettere sepolture decorate riccamente. La maggior parte finivano, invece, i loro giorni in quello che oggi è conosciuto come il cimitero delle Tombe del Sud, dove la maggior parte delle persone sono state seppellite in tombe contrassegnate da mucchi di pietre.
Le Tombe del Sud hanno restituito solo 20 bare, la maggior parte degli scheletri, invece, erano sepolti avvolti in stuoie, segno della modesta condizione economica che avevano in vita. Le sepolture non contengono offerte, la gente comune non poteva permettersi molto. Tra i pochi oggetti ritrovati nel cimitero vi sono perline a forma di ippopotamo, probabilmente indossate da una donna o da un bambino, prima della morte, come amuleti protettivi.
Gli scheletri recuperati, che mostrano un'età compresa tra i 3 ed i 25 anni, al momento della morte presentavano segni di scorbuto e rachitismo. I denti dei bambini hanno profonde scanalature, segni di malnutrizione. Alcuni bambini di età superiore agli otto anni, invece, mostrano segni di arresto nella crescita dovuto a cattiva alimentazione. I loro scheletri rivelano che sono stati sottoposti, in vita, a notevoli sforzi fisici.
La vita degli adulti non era certamente più piacevole. Oltre il 75 per cento degli scheletri studiati in dettaglio, soffriva di artrite a carico degli arti, a causa dei lavori forzati. Erano molto comuni anche le fratture e la compressione delle vertebre. Il 67 per cento degli scheletri ha segni di guarigione di fratture. Sembra proprio che la vita, a Tel el-Amarna, non era, poi, così piacevole come narrano bassorilievi ed affreschi.

martedì 12 marzo 2013

Sekhmet rinasce ad al-Kom Hittan

Le statue di Sekhmet ritrovate ad al-Kom Hittan
Archeologi egiziani ed europei hanno riportato alla luce una serie di statue in granito nero, raffiguranti la divinità Sekhmet, dalla testa leonina. Le statue sono state trovate nel tempio funerario del faraone Amen-hotep III, ad al-Kom Hittan.
Non è la prima volta che si rinvengono statue di Sekhmet a Kom al-Hittan. La missione archeologica che ha effettuato il ritrovamento è guidata dall'egittologo tedesco Horig Sourouzian. Sono ben 64 le statue finora emerse dal terreno, un numero elevato che sottolinea l'importanza che aveva questa dea durante la XVIII Dinastia.
Sekhmet era anche una dea guerriera e dalle capacità distruttive. Alcune fonti affermano che Amen-hotep III avesse fatto scolpire così tante statue di Sekhmet per ringraziarla di averlo liberato da una malattia. Le statue sono molto ben conservate e ciascuna è alta due metri, esse riempivano il tempio funerario di Amen-hotep III.
Gli archeologi ora pensano ad una ricostruzione virtuale del tempio con i più moderni programmi informatici. In questa ricostruzione ogni pezzo ritrovato troverà il suo posto all'interno del tempio originale.

Ritrovato un antico morso in Israele

La sepoltura dell'asino
Durante lo scavo di un sito che conteneva sepolture rituali, in Israele, risalente a circa 3700 anni fa, gli archeologi hanno ritrovato un asino con ancora un morso in bocca e i resti di una chiusura da borsa sul dorso. Il ritrovamento è avvenuto in un recinto sacro a Tel Haror ed è senza precedenti.
L'asino è stato deposto ritualmente nella sepoltura, a testimonianza della grande considerazione in cui erano tenuti gli equidi durante l'Età del Bronzo. L'utilizzo del morso è antecedente, invece, all'Età del Bronzo. La sepoltura dell'asino è stata datata al 1700-1550 a.C.; l'animale è stato sacrificato all'interno di un luogo apposito nel sito di Tel Haror.
A Tel Haror sono presenti anche i resti di un tempio di tipo siriaco, un magazzino ed un ampio cortile in cui vi sono diversi altari per le offerte. La sepoltura dell'asino si è conservata per le condizioni relativamente aride del terreno. L'animale era stato deposto sul fianco sinistro, con la testa appoggiata alla parete di un pozzo e con tre delle zampe ben piegate. L'usura dei denti e l'analisi delle ossa indicano che si trattava di un asino di circa quattro anni. Il morso che gli è stato ritrovato in bocca è stato forgiato nel rame, è a sezione rotonda e con due pezzi in forma discoidale. L'imprecisione con il quale è stato forgiato il morso indica che anche questo era stato deputato ad un fine rituale.
La briglia, per quanto simbolica, è finora l'esempio più antico e l'unico nel Vicino Oriente antico ritrovato accanto ad un equide. Oltre al morso, gli scavi hanno individuato circa 12 pezzi in rame piuttosto corrosi, collocati nella parte superiore della gabbia toracica dell'animale. Posizionamento, raggruppamento e dimensioni hanno indotto gli archeologi a pensare ad una borsa per soma, realizzata in materiale deperibile, forse pelle. Anche queste, forse, furono realizzate esclusivamente per la sepoltura rituale dell'animale.

Antichissimi ami da pesca in Germania

L'amo da pesca ricavato dalla zanna di mammut
Gli archeologi hanno riportato alla luce sei ami da pesca, il più antico dei quali è stato ricavato ben 19.000 anni fa dalla zanna di un mammut. Il ritrovamento è stato effettuato a Wustermark, in Germania, gli ami sono i più antichi finora ritrovati in Europa e suggeriscono che l'uomo ha sviluppato strumenti da pesca ben prima di quanto si sia pensato finora.
Già nel 2011 antichissimi ami da pesca sono stati scoperti a Timor Est, in Indonesia. I ganci, però, non era completi e per individuare gli oggetti come ami, gli archeologi hanno dovuto fare affidamento sulle lische ritrovate nelle vicinanze.
Il sito in cui sono stati ritrovati i sei ami da pesca un tempo era un campo nei pressi di un antico lago. Con gli ami sono emersi resti di animali e pesci. Uno dei reperti è stato scolpito da una zanna di mammut, mentre gli altri ami sono stati ricavati da ossa di renna o di alce e sono più recenti: circa 12.300 anni fa. Dal momento che all'epoca i mammut erano estinti, gli archeologi ipotizzano che gli antichi pescatori abbiano trovato per caso la zanna di mammut ed abbiano deciso di utilizzarla per ricavarne degli utensili.

lunedì 11 marzo 2013

Le principesse di Celano

Il corredo funerario di una delle sepolture scoperte
Nel loro ultimo viaggio sono state accompagnate da bellissimi gioielli in oro. Una di loro indossava una parure completa ed aveva il capo cinto da un velo tessuto di preziose perline. Si tratta di un gruppo di giovani donne sepolte in una grande necropoli romana riportata alla luce a Celano, in provincia de L'Aquila.
Le giovani donne, in realtà, erano piuttosto delle bambine, il cui ultimo viaggio è stato accompagnato da orecchini, anelli con castone, collane, bracciali in bronzo. Una delle sepolture conteneva, oltre al corpo della defunta, una laminetta d'oro arrotolata sulla quale era incisa una formula magica.
La direttrice degli scavi, Emanuela Ceccaroni, ha detto che si tratta di un ritrovamento frequente. Solitamente queste laminette erano inserite in una sacchetta di stoffa e poste accanto all'inumato. Sulla laminetta ritrovata accanto alla bambina defunta si distinguono dei segni vergati, probabilmente, il lingua greca, che si riferiscono ad un auspicio favorevole per il viaggio che il defunto doveva compiere nell'aldilà.
Nella maggior parte delle 230 sepolture ritrovate nella necropoli sono stati rinvenuti, indipendentemente dal sesso e dall'età, reperti piuttosto comuni, quali lucerne, balsamari in vetro e qualche moneta (gli oboli di Caronte), datati ad un periodo compreso tra il I e il III secolo d.C.. Le tombe sono tutte a cappuccina e distribuite in un terreno prossimo alla sponda dell'antico lago del Fucino.
Gli archeologi hanno notato, inoltre, che le sepolture sono state riutilizzate nel corso del tempo. I sepolcri sono stati riaperti già in antico, le ossa dei defunti sono state messe in cassette per far posto ad altre ossa. Attualmente sono visibili piccoli mucchi di ossa prive di contenitore, andato perduto perché costituito da materiale deperibile.
Vicino alle tombe di epoca imperiale sono state trovate anche sepolture più antiche, datate all'Eneolitico (III millennio a.C.), al X e al VII secolo a.C.. La testimonianza più antica è rappresentata da un fossato neolitico (IV millennio a.C.) che recingeva, probabilmente, un insediamento di capanne.

domenica 10 marzo 2013

Sepolture nella Domus Aurea

Sepolture tardo-antiche nella Domus Aurea
Ad un metro e mezzo di profondità nel giardino di Colle Oppio, a Roma, è possibile intercettare i resti più antichi della Domus Aurea ma anche i resti di un cimitero del V secolo d.C., installatosi proprio sui resti della casa di Nerone. Gli archeologi hanno scavato una serie di tombe a fossa, in alcune delle quali sono stati ritrovati degli scheletri in posizione supina.
Quanto ritrovato in questi giorni dagli archeologi parla di un riutilizzo dell'area che, un tempo, era stata individuata da Nerone come luogo dove edificare la sua grande residenza imperiale. Il ritrovamento è stato effettuato nel corso delle indagini archeologiche nel settore nordovest della Domus Aurea. Ne ha data notizia la responsabile dello scavo Elisabetta Segala.
I lavori sono partiti nell'autunno 2012 nelle due gallerie di epoca traianea, coperte con volte a botte ed edificati per frazionare l'originale cortile all'aperto della Domus Aurea. La Soprintendenza intende riaprire al più presto l'edificio, ovviamente dopo aver messo a punto un nuovo sistema di copertura protettiva. Scavando nell'interro che copre le volte delle gallerie sono riaffiorate le tombe a fossa. E' stato necessario scalpellare, a tal fine, il conglomerato cementizio delle volte traianee.
Delle due tombe scavate una presenta gli arti inferiori e il bacino di una donna adulta, mentre l'altra ha restituito i resti di un uomo adulto. La datazione delle sepolture è tuttora fonte di discussione. Per lo più gli studiosi pensano che la nuova necropoli possa connettersi alle circa mille sepolture del V-VI secolo d.C. rinvenute nel 1967 all'interno della cosiddetta Cisterna delle Sette Sale.
Dalle indagini sempre sul luogo dove sono state ritrovate le deposizioni funerarie, sono state riconosciute delle fosse circolari, incassi rettangolari e solchi che fanno pensare ad un utilizzo del terreno posteriore all'insediamento della necropoli. Anche queste tracce si trovano all'interno delle volte traianee e sembrano tradire un utilizzo agricolo del terreno, forse coltivato a vigne e orti.

I segreti della necropoli di el-Hawa Qubbet

Alcuni degli scheletri ritrovati nella necropoli
di el-Hawa Qubbet
Gli antichi Egizi non vivevano, come si può comunemente pensare, in condizioni ottimali di salute e non sempre erano circondati dai segni dell'opulenza ai quali siamo così tanto abituati. Piuttosto essi soffrivano comunemente la fame e la malnutrizione ed erano esposti a tutta una serie di malattie infettive che, come conseguenza, tra le altre, aveva anche un'alta mortalità infantile. Senza contare che i governatori di Assuan, al confine con il Sudan, e le loro famiglie si erano mescolati con le popolazioni di pelle scura della regione.
Sono queste le conclusioni alle quali è giunto il progetto di ricerca el-Hawa Qubbet, condotto dall'Università di Jaen, in cui gli antropologi dell'Università spagnola di Granada hanno avuto un'attiva partecipazione.
Si è scavata la tomba n. 33 della necropoli di el-Hawa Qubbet, di fronte alla moderna città di Assuan, a circa 1000 chilometri a sud del Cairo. La tomba fu costruita durante la XII Dinastia (1939-1760 a.C.) ed è una delle più grandi della necropoli. E' una sepoltura molto importante dal punto di vista archeologico, dal momento che una delle camere di cui è composta è pressoché intatta, insieme con tre sarcofagi in legno decorato.
Gli antropologi di UGR al lavoro nella necropoli
Gli scienziati del Laboratorio UGR di Antropologia fisica, il cui direttore è il professor Miguel Botella Lopez, sono appena tornati dall'Egitto dove hanno preso parte al lavoro sul campo per effettuare l'analisi antropologica delle ossa delle mummie rinvenute nello scavo, così come il calcolo del numero di individui che sono stati sepolti, in tempi più recenti, nella tomba appena scavata. Gli archeologi hanno ritrovato ben 200 tra scheletri e mummie nella tomba n. 33.
I primi risultati del lavoro degli archeologi e degli antropologi hanno portato a conclusioni piuttosto interessanti. Hanno, in particolare, rivelato diverse cose nuove sulle caratteristiche fisiche e sulle condizioni di vita degli antichi Egizi. "Anche se il livello culturale dell'epoca è stato straordinario, - ha affermato il professor Botella. - l'analisi antropologica dei resti umani rivela che la popolazione in genere, ma anche i governatori del luogo, quindi le classi sociali più elevate, vivevano in condizioni di salute molto precarie".
Ingresso alla necropoli di el-Hawa Qubbet
Secondo gli antropologi dell'UGR, le aspettative di vita dell'epoca erano di appena 30 anni, a causa della malnutrizione e di gravi disturbi gastrointetinali derivati dall'acqua del Nilo, che queste persone bevevano comunemente. Questi risultati sono emersi soprattutto dall'analisi delle ossa dei bambini che qui erano seppelliti, morti a causa di gravissime malattie infettive. Molte delle mummie riportate alla luce dai ricercatori, inoltre, appartengono a giovani adulti di età compresa tra i 17 ed i 25 anni.
Il professor Botella sottolinea che le tombe della necropoli di el-Hawa Qubbet contengono iscrizioni che sono di grande importanza storica, non solo per l'Egitto ma per l'intera umanità. Nella tomba del governatore Herjuf (2200 a.C.), per esempio, le iscrizioni narrano di tre viaggi che l'uomo aveva compiuto nell'Africa centrale. Da uno di questi viaggi Herjuf aveva riportato un pigmeo e l'iscrizione risulta la più antica menzionante questo gruppo etnico. Altre iscrizioni, invece, descrivono i rapporti dell'Egitto con la vicina Nubia (attuale Sudan) per un periodo di quasi 1000 anni.

Sepolture preistoriche nel Sahara

Uno degli scheletri ritrovati a Wadi Takarkori
Gli archeologi hanno ritrovato venti scheletri appartenenti all'Età della Pietra all'interno di un riparo roccioso nel deserto del Sahara, in Libia. Gli scheletri sono databili ad un periodo compreso tra 8000 e 4200 anni fa, il luogo, infatti, fu utilizzato come cimitero per molti secoli.
Nel rifugio roccioso sono stati seppelliti circa 15 individui, tra donne e bambini, mentre altri cinque individui, uomini e ragazzi, sono stati sepolti sotto cumuli di grandi pietre, al di fuori del rifugio ed in un momento successivo rispetto alle prime sepolture, quando la regione divenne desertica.
Tra gli 8000 ed i 6000 anni fa, la regione comprendente il deserto del Sahara, chiamata Wadi Takarkori, era lussureggiante di vegetazione ed arbusti stagionali. L'arte rupestre, qui rinvenuta, raffigura antichi pastori nomadi con animali molto simili a delle mucche, che sicuramente avevano bisogno di molta acqua di quella che attualmente è possibile trovare in questo luogo.
Il sito ha iniziato ad essere indagato tra il 2003 e il 2006 ed ha restituito resti di capanne, ossa di animali e vasi che recano le tracce dei primi prodotti lattieri-caseari ritrovati in Africa. Gli archeologi ritengono che gli scheletri appena scoperti sono stati seppelliti, in realtà, tra i 7300 ed i 5600 anni fa, almeno quelli che sono stati rinvenuti all'interno del riparo roccioso. Questi individui, appartenenti ad un'antica comunità, vivevano sicuramente non lontano dal luogo di sepoltura, questo è risultato dall'esame degli isotopi ritrovati nello smalto dei denti paragonati agli elementi presenti nell'ambiente circostante.
L'utilizzo esclusivo del riparo roccioso per le sepolture femminili ed infantili, secondo gli archeologi, denota una divisione in base al sesso. Probabilmente in questa comunità gli individui di sesso femminile avevano un ruolo preminente e forse nella comunità si praticava una discendenza per linea femminile. Quando il deserto ha iniziato la sua inesorabile avanzata, circa 5000 anni fa, la cultura che ha espresso queste sepolture ha dovuto spostarsi altrove. L'intera regione è piena di centinaia di siti ancora da scavare che potrebbero rivelare chissà quali sorprese.

Trovate nuove sepolture a Colchester

Alcune delle sepolture di Colchester
(Colchester Archaeological Trust)
Uno scavo recentemente completato vicino al cimitero di Colchester, ha rivelato che alcuni cittadini dell'antica Camulodunum erano stati sepolti in questo luogo. Le sepolture erano contrassegnate da recinzioni di legno e fossati.
Gli archeologi avevano già avanzato l'ipotesi che, durante il periodo romano, quelli che non potevano permettersi di edificare strutture marmoree sulle loro tombe, potevano ricorrere a dei segnacoli in legno oppure a dei cumuli di terra per distinguere le loro sepolture. Ora gli archeologi hanno riportato alla luce dei gruppi di sepolture con rispettivi corredi funerari, che hanno permesso di datare le tombe al II-III secolo a.C.. Queste sepolture erano circondate, in alcuni casi, da piccoli fori che raggiungono anche i 20 centimetri di diametro.
"E' sicuramente un fatto insolito. - Ha affermato l'archeologo Philip Crummy, che segue gli scavi a Colchester. - Abbiamo scavato circa 400 sepolture a inumazione e cremazione. Abbiamo trovato aree di sepolture recintate alle due estremità del sito e sembra che si tratti di una serie di appezzamenti utilizzati da diversi gruppi e famiglie".
Pendaglio con testa di Medusa
(Colchester Archaeological Trust)
Poche ossa sono sopravvissute all'acidità del terreno di Colchester. Sono rimasti, però, i loro corredi, quali vasi e un paio di specchi. Il ritrovamento di borchie in ferro sta ad indicare che molti individui furono sepolti con le scarpe; una tomba conteneva un medaglione intagliano con il volto di Medusa.
"Alcuni anni fa abbiamo trovato un cimitero qui vicino. - Ha affermato il dottor Philip. - Questo cimitero conteneva circa 600 tombe, per lo più databili al IV secolo d.C., orientate in senso est-ovest. Anche se cancellate in parte da queste sepolture più recenti, ne abbiamo trovate altre, precedenti l'epoca cristiana, orientate nord-sud".
Un esame più attento rivolto alle fosse di confine hanno portato ad una struggente scoperta: sebbene le fosse non contengano più resti umani, la loro dimensione e la forma ha portato gli archeologi ad interpretarle come tombe di bambini. "Sembra che ci sia un numero elevato di sepolture infantili, in questo sito. - Ha affermato il dottor Philip. - La maggior parte di costoro sono prive di corredo, in alcune abbiamo trovato vasi in miniatura, che abbiamo imparato a interpretare come segni di sepoltura di bambini. In una tomba abbiamo ritrovato uno specchio, un paio di forbici in ferro e quello che sembra essere un piccolo candeliere in lega di rame. Queste tombe erano poco profonde e mancavano del tutto di bare. Ciascuna di queste fosse è stata, in seguito, coperta con uno strato di tavole in legno".

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